New York, 28 Giugno 1969, Stonewall Inn: Sylvia Rivera tira una bottiglia contro un agente per protestare contro i continui raid della polizia nel bar, punto di ritrovo della comunità gay del posto. Iniziano così i moti di Stonewall, presi come data simbolica dell’inizio del movimento LGBT.
A questi avvenimenti è ispirato Stonewall, ultimo lavoro di Ronald Emmerich, nelle sale cinematografiche dal 5 Maggio. La pellicola rappresenta una chiara inversione di rotta rispetto ai blockbuster apocalittici a cui il regista ci ha abituato: 2012, The Independence Day, The Day After Tomorrow… Con questo film Emmerich sceglie di andare controcorrente, provando a raccontare una storia diversa, con meno effetti speciali, ma sicuramente più incisiva.
Le vicende del Greenwich Village sono narrate attraverso gli occhi di due ragazzi, interpretati da Jeremy Irvine e Jonathan Rhys-Meyers, che si trovano ad affrontare i problemi tipici dell’età: scontri con i genitori, voglia di affermazione, bisogno di trovare il proprio posto nel mondo.
Il regista punta a sconvolgere lo spettatore, ad investirlo di emozioni: lo invita ad immedesimarsi, a provare la rabbia, la frustrazione, la passione con cui i protagonisti lottano per i propri diritti.
Una storia intensa che invita a riflettere sul tema delicato della ricerca dell’identità, che tratta di discriminazione e pregiudizio.
Negli anni ’70 omosessuali e transessuali suscitavano sentimenti di disgusto, ribrezzo e rifiuto, sentimenti che purtroppo ancora oggi appartengono ad una parte della popolazione mondiale.
Spesso si disprezza ciò che non si conosce, ciò che non si riesce a capire, ad accettare: quale veicolo migliore di un film, quindi, per far conoscere il coraggio di chi ha la forza di essere sé stesso?
Grazie Ronald.